Con il recente annuncio tramite un comunicato ufficiale, la chiusura definitiva della piattaforma social di Google è diventata realtà.
Del resto, che le cose non andassero bene non era certo un mistero, dato che a ottobre 2018 Big G aveva già annunciato le sue intenzioni.
Nonostante i tentativi di aumentare gli utenti, G+ è risultato essere uno dei più grandi flop di casa Google, alla faccia del continuo lavoro su design e usabilità. Il prodotto, in sé, si presentava lineare, d’impatto e semplice da utilizzare e, nonostante la difficoltà a decollare, Google non ha mai smesso di investirci in termini di innovazione e implementazione di nuove funzionalità. Eppure, l’ultimo intervento datato 2017 ha finito per dimostrarsi uno spiacevole accanimento terapeutico.
I numeri parlano chiaro: la quantità di contenuti e interazioni social erano veramente insufficienti, come l’impietoso 90% delle sessioni che terminavano in pochissimi secondi. In più, nonostante numeri da capogiro lato iscrizioni, gli utenti attivi erano di fatto una parte irrisoria.
I perché sono diversi e, probabilmente, più legati alle scelte di mercato che alla piattaforma in sé e per sé.
Fin dagli albori, il social network ha voluto essere un competitor diretto di Facebook, che l’ha avuta vinta senza troppe fatiche. Tentando di sbaragliare l’avversario, ha finito per crearne una “brutta copia”, puntando sul concetto di una comunità privata controllata, mentre Zuckerberg ha preferito puntare sul coinvolgimento delle persone. Com’è andata a finire? Beh, lo sappiamo.
Ma qual è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso? La causa scatenante sarebbe stata la grande violazione di dati che ha colpito circa 52,2 milioni di account G+. Google avrebbe nascosto il bug per ben sette mesi senza informare il pubblico. Quanto accaduto, però, ha fatto formulare alcune ipotesi in merito alla possibilità che questa violazione sia stata utilizzata come scusa per pre-pensionare la piattaforma.
Google + è sempre stato destinato a fallire?
A quanto pare, il lato social di Mountain View non ha mai goduto di ottima salute.
Infatti, Google non è nuova ai fallimenti, basti pensare agli sfortunati predecessori di G+: Orkut (2004), Google Health (2008), Google Wave (2009) e Google Buzz (2010).
Tra l’altro, pare che la stessa sorte toccherà, entro il 2020, all’app di messaggistica Hangouts.
Ad aggiungersi alle ragioni d’insuccesso, la strategia di incentivazione all’iscrizione, poi rivelatasi un boomerang, che favoriva la visibilità dei contenuti G+ su rete search. Se da un lato è stata l’unica ragione di adesione per molte aziende, ha anche significato per gli utenti un prodotto non orientato al loro intrattenimento.
Cosa devono fare ora gli utenti?
Il social sarà chiuso definitivamente il 2 aprile 2019. Ciò significa che gli utenti avranno tempo fino ad allora per esportare tutto ciò che hanno reso pubblico sulla piattaforma. In tal senso, Google è stato previdente, fornendo una mano virtuale a tutti gli users con un’apposita guida, chiamata Takeout. Il servizio di trasferimento dati è molto semplice e veloce. Accedendo al proprio account da qualsiasi dispositivo si potrà cominciare il processo di download dei propri dati con qualche semplice clic.
A questo punto, Google rinuncerà davvero all’eterna social-battle con Facebook?
Sì e no.
Casa Google ha già iniziato a incentivare il lato social della sua Rete Search, aggiungendo nelle SERP funzionalità come il mi piace/non mi piace e i commenti per i risultati di ricerca, che si sommano al già presente e adottato sistema di recensioni e domande per gli account My Business.
La vera domanda finale è: riuscirà Google a raggiungere i livelli di Facebook con un nuovo strumento o, piuttosto, sceglierà di prendere una strada differente, come sta già facendo con My Business?
Se son social, fioriranno.